Commento alle letture della III Domenica di Pasqua

TERZA DOMENICA DI PASQUA ANNO A

Prima lettura – Dagli Atti degli apostoli (At 2,14.22-33)

[Nel giorno di Pentecoste,] Pietro con gli Undici si alzò in piedi e a voce alta parlò così:

«Uomini d’Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nàzaret – uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso fece tra voi per opera sua, come voi sapete bene -, consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, voi, per mano di pagani, l’avete crocifisso e l’avete ucciso. Ora Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere. 

Dice infatti Davide a suo riguardo: Contemplavo sempre il Signore innanzi a me; egli sta alla mia destra, perché io non vacilli. Per questo si rallegrò il mio cuore ed esultò la mia lingua, e anche la mia carne riposerà nella speranza, perché tu non abbandonerai la mia vita negli inferi né permetterai che il tuo Santo subisca la corruzione. Mi hai fatto conoscere le vie della vita, mi colmerai di gioia con la tua presenza.

Fratelli, mi sia lecito dirvi francamente, riguardo al patriarca Davide, che egli morì e fu sepolto e il suo sepolcro è ancora oggi fra noi. Ma poiché era profeta e sapeva che Dio gli aveva giurato solennemente di far sedere sul suo trono un suo discendente, previde la risurrezione di Cristo e ne parlò: questi non fu abbandonato negli inferi, né la sua carne subì la corruzione.

Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato dunque alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire».

Commento

Pietro fa il primo annuncio della risurrezione ai Giudei e combina tre soggetti: i capi, i romani e Dio. I capi decretarono la condanna a morte di Gesù e i romani l’eseguirono ma Dio portava avanti il suo disegno e l’ha risuscitato. 

Riferisce poi che nel Salmo 16 Davide fa un atto di fede nel superamento della corruzione che, riguardo a lui, ha avuto effetto quanto a liberarlo dalle insidie del suo tempo ma, dopo la morte, no. Pietro ha capito la discontinuità della risurrezione di Gesù.

Pietro, quel galileo che era impaurito e che aveva evitato i pericoli di arresto fino a rinnegare Gesù, lo vediamo ora prendere la parola con coraggio e interpretare le Scritture con autorità. Quale cambiamento è avvenuto?

In qualche modo lo dice lui stesso: Cristo innalzato accanto al Padre ha effuso lo Spirito (a Pentecoste) e ha reso lui e gli altri discepoli testimoni. Pietro non butta lì quel che gli viene ma la risurrezione come esaltazione di Cristo al Padre e causa dell’effusione dello Spirito Santo.

Non rimarca la colpa dei capi di Israele ma l’efficacia del piano di Dio, che vale per tutti, anche per chi l’aveva crocifisso e per tutti i peccatori. Dio è più grande del nostro cuore e ci offre tutto perché a nostra volta doniamo tutto. 

Seconda lettura – Dalla Prima lettera di Pietro (1Pt 1,17-21)

Carissimi, se chiamate Padre colui che, senza fare preferenze, giudica ciascuno secondo le proprie opere, comportatevi con timore di Dio nel tempo in cui vivete quaggiù come stranieri. Voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia. Egli fu predestinato già prima della fondazione del mondo, ma negli ultimi tempi si è manifestato per voi; e voi per opera sua credete in Dio, che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria, in modo che la vostra fede e la vostra speranza siano rivolte a Dio.

Commento

La lettera esorta a vivere nel timore di Dio, invece che nella paura delle cose che avvengono. Vivono un tempo da immigrati, letteralmente una «parrocchia». Invocano abitualmente Dio e fanno bene ma non si devono aspettare che tutto vada bene. Devono invocare il Padre a con più forza perché aumenta l’incertezza sociale e perdono delle salvaguardie di legge.

Era per i cristiani di Roma il tempo di mezzo fra l’antipatia pubblica per la loro alterità al politeismo di Stato e quello della persecuzione vera e propria. Diminuiva la solidarietà e si vedevano confiscati dei beni, ma ecco che l’apostolo li esorta a non badare ai beni di «argento e oro» ma al bene che non perderanno mai.

A liberarli dal male è stato «il sangue prezioso di Cristo», impagabile e gratuitamente versato per loro, innocente come di «agnello senza difetti e senza macchia». Loro sanno che li ha amati ma non ricordano abbastanza che proprio in quel tempo che loro criticano egli si è a loro manifestato nell’iniziazione cristiana.

Dio ha risuscitato il Cristo e loro sono rinati dal battesimo nel suo nome. Devono vivere con speranza e fede in Dio, come degli immigrati che per un breve tempo stanno in un Paese poco accogliente e fanno il loro esodo verso un altro in cui potranno dimorare per sempre. Dio che ha soccorso il suo Figlio con la risurrezione farà lo stesso per loro.

Vangelo – Dal Vangelo secondo Luca (Lc 24,13-35)

Ed ecco, in quello stesso giorno [il primo della settimana] due dei [discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo.

Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto». 

Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.

Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?».

Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

Commento

Marco (16,12s) racconta dell’apparizione del Risorto a due che erano per strada, i quali lo riconoscono a fatica poi ne narrano l’incontro agli Undici, i quali però non credono loro. Nella pagina di questa Terza domenica di Pasqua, di San Luca, abbiamo i due e la fatica a riconoscere Gesù e, al termine, anche la loro narrazione agli Undici; ma non che questi non credettero.

Luca fa un vero racconto, uno dei meglio riusciti del suo Vangelo. In esso, i due conversano poi a Gesù descrivono quello che è accaduto. Non è sufficiente ma qualcosa è e permette a Gesù di rispondere. Le descrizioni hanno del buono; meglio descrivere che tacere, anche se si fanno delle figurette.

Descrivono qualcosa che, per contenuti, sarebbe il vangelo degli apostoli ma, per emozioni, è un soppesare privo di slancio, il rimuginio di chi non ha che tristezza. Il quadro ha un’ironia che sorprende: parlano di lui con lui! Notiamo che riportano indietro il film alla stima che il popolo riversava sul profeta, sul re che li avrebbe liberati. Parole di gergo.

Gesù allora, lo sappiamo, li scuote, e li rinvia più indietro (ironia), ai profeti che, nella Bibbia, hanno parlato del Cristo che patisce per entrare nella gloria. Spiegò, letteralmente «fece l’esegesi» di tutto ciò che lo riguardava. Qui, i due, hanno già sperimentato una novità e si fanno premurosi verso chi appena avevano conosciuto, perché non corresse dei rischi.

Gesù resta e, a cena, compie la benedizione prevista poi, nel momento in cui egli offre loro un boccone, «si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero». Questo fa specchio ai cristiani che nell’eucaristia sperimentano la presenza reale del Signore. Il racconto però aggiunge subito che quel riconoscere non è il culmine, che ora lui «sparì dalla loro vista».

Facciamo attenzione perché non è facile. Lui si sottrae a loro diminuendo la propria potenza per rispettare la libertà loro, e di tutti, di credere senza vedere, e indicando ai credenti il valore di ogni testimone e di ogni cercatore che bussa. Sì, li impoverisce di uno specchio, ma li arricchisce dando fiducia alla loro responsabilità e ne assisterà ancora i passi.

Al termine, quella dei due agli Undici e agli altri non è più una descrizione con il cuore distante ma una narrazione nella quale dicono che lui li ha cambiati e ha riempito la loro vita. Ci proponiamo anche noi di dire la fede senza bisogno di paroloni, fidandoci che lo Spirito ci dà in quel momento quello che occorre dire.

Via Lucis

Giovedì 23 Aprile alle ore 20:30 saremo in diretta sulla pagina Facebook e sul canale YouTube per celebrare insieme un momento di preghiera, devozione e riflessione che ci darà modo di ripercorrere i Vangeli della Resurrezione e le apparizioni del Signore.

Commento alle letture della Dominica in Albis

DOMENICA 19 APRILE 2020 – II DI PASQUA ANNO A

La liturgia della Parola di questa Domenica della misericordia fa rivivere la Pasqua di Cristo e dei discepoli ricordando eventi storici che Dio misericordioso provvide e come la comunità dei credenti in Gesù si costituì nella comunione (prima lettura) e gioì nella prova (seconda).

Gli eventi vespertini del giorno della risurrezione di Gesù e della sera della seconda domenica (Vangelo) evidenziano che la fede più matura non dipende dal vedere il Cristo ma dal credere senza vederlo. Tommaso crede ammettendo le discontinuità della Pasqua.

Dagli Atti degli apostoli (2,42-47)

[Quelli che erano stati battezzati] erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati.

Commento

La prima lettura racconta qualcosa che segue la Pentecoste, il primo annuncio ai Giudei di Pietro e le prime conversioni, motivate da come l’annuncio della morte/risurrezione di Cristo ha spezzato il cuore di una folla. Si formò la comunità di Gerusalemme, al cui centro stavano gli apostoli e intorno la moltitudine che il Signore aggiungeva tramite il battesimo.

La comunità di Gerusalemme viveva quattro dinamiche che si intersecavano come degli insiemi: la formazione, la comunione, la carità e la preghiera. Al centro dell’intersezione c’era l’azione del Signore che si rendeva presente nel suo Spirito e generava dei prodigi che autenticavano ognuna delle dinamiche. Il complesso dava testimonianza alla moltitudine.

L’insegnamento degli apostoli era una catechesi per credenti che ascoltava la Scrittura e la rileggeva a confronto con la vita cristiana attuale.

La comunione era la condivisione dei valori, dei beni economici e delle preoccupazioni. Con la cassa comune si faceva del bene e alcuni la sostenevano con i proventi della vendita di una proprietà.

La carità non si limitava al dare ciò che la cassa consentiva ai poveri, compresa quella diaconia delle mense di cui parla il cap. 6, ma anche relazione interpersonale con chi soffre e guarigione. 

La preghiera si svolgeva al tempio, del quale la comunità frequentava soprattutto il cortile dei pagani, aveva la caratteristica della lode e si condivideva con tutti i Giudei.

Un momento che rappresentava tutte e quattro le dinamiche, e che s’intravede in quello che gli Atti chiamano spezzare il pane, era il pranzo comune, sostenuto dalla Parola, caratterizzato da comunione e preghiera, e motivante la solidarietà. C’era la benedizione prevista dai Giudei per i pranzi e, un po’ alla volta, il pasto assunse una propria identità come eucaristia.

La comunità aveva come motore la perseveranza e come carburante la letizia. Tenevano gli impegni, non mancavano alle riunioni, davano tempo in un settore per il quale avevano un carisma e si lasciavano aiutare dalla misericordia delle persone divine, lodavano e ringraziavano. 

1Pt 1,3-9

Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce. Essa è conservata nei cieli per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, in vista della salvezza che sta per essere rivelata nell’ultimo tempo. Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, molto più preziosa dell’oro – destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco – torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà. Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime.

Commento

Un’esortazione che inizia con una benedizione rivolta a credenti in Gesù che vivono sotto il peso di una prova. Una consolazione, più che un’esortazione, in quanto essi hanno ricevuto una vita nuova dal Padre in Cristo risorto e nutrono la speranza di un’eredità che riceveranno nell’ultimo tempo.

La gioia, dice lo scritto con genuinità, è la compagna della prova perché i credenti sanno che, accettando la prova di cuore, la fede si purifica e porta a una maturazione: si diventa più liberi e più amanti e si avvicina la manifestazione di Cristo. La gioia si purifica perché non si hanno ricompense che in lui, in cui si crede senza vederlo.

Alleluia, alleluia.

Perché mi hai veduto, Tommaso, tu hai creduto;
beati quelli che non hanno visto e hanno creduto! (Gv 20,29)

Gv 20,19-31

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Gesù si mostrò vivo a dei discepoli senza continuità con il fatto della morte ma con continuità della sua persona. Gli evangelisti Luca e Giovanni narrano la continuità, per aiutare a credere, evidenziando gli incontri che provocano un cambiamento dei discepoli. Raccontano anche la discontinuità: Gesù era morto e i discepoli subirono lo scacco, vivevano uno stacco e un ripiegamento, riprendendo una vita normale dopo la fase carismatica con Gesù. La storia ci dice l’eccezionalità delle apparizioni, la loro marginalità e diversità, l’impossibilità di uniformarle in un cliché o in un discorso. Il Risorto si fece incontro ad alcuni e li cambiò? E chi era per farlo?

Nell’apparizione che oggi la liturgia ci fa ascoltare, Gesù andò dai discepoli radunati nel timore. Temevano che li arrestassero, avevano pena per il maestro morto, eppure sperimentavano di amarlo e di amarsi. Gesù si fece riconoscere con il saluto d’abitudine: «‟Pace a voi”».

L’evangelista narra un dettaglio, che vide; egli fece lo stesso quando raccontò che vide acqua e sangue uscire dal costato trafitto del Crocifisso. Gesù, dice, «soffiò». Cosa significa «soffiò», e si riferisce a un altro? Il verbo è lo stesso dell’infusione dell’aria nelle narici di Adamo che ne fece un essere vivente (Genesi 2,7).

Gesù creò i discepoli, li cambiò e mise in loro l’arte di cambiare le persone, ammettendole alla comunione tramite il perdono. I discepoli cambiarono per un incontro che si impose ai loro ragionamenti e da paurosi e incartati nel fallimento, divennero fedeli all’amico e testimoni da persona a persona. Questo arriva anche a quanti accolgono il vangelo: Gesù viene incontro nella testimonianza e beato chi ci crede!

Tommaso impedisce il lieto fine, fa la domanda giusta poi passa oltre l’incredulità. La domanda giusta è se il Risorto è la stessa persona che era stata uccisa quel venerdì. Se non lo era, il cristianesimo sarebbe stato mitologia; se lo era reca in sé Dio: il Padre che risuscita Gesù nello Spirito e per mezzo dello stesso Spirito agisce oggi in chi crede. Tommaso fa dire al Risorto di essere il Crocifisso.

La tentazione dell’incredulità la supera perché rinuncia a fare del dubbio un’abitazione. Per essere fedele, costi quello che costi, alla verità che percepisce, lascia il dubbio per la verità che gli viene donata dall’alto. Alle parole di Cristo, infatti, dice subito «‟Mio Signore e mio Dio”», e non mette la sua mano nel suo fianco.

Gesù dice dunque: «”Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”». Questo unisce i credenti della prima ora, da un capo del filo, e coloro che i lettori incontrano dall’altro. Fra i primi, Luca disse di una donna che era beata per aver creduto (senza vedere): Maria, la madre di Gesù (Luca 1,45). Giovanni ascolta e applica a tutta la comunità che crede. Fra i lettori ci sarà qualcuno beato, felice per quanto riceve? Parlerà ad altri per accendere in loro l’amore di Cristo senza vederlo?

Messe Pasquali: orari dirette

Sabato Santo: Veglia Pasquale ore 21:00

Domenica di Pasqua:

ore 9:00 dall’Ospedale

ore 10:00 da san Bartolomeo

ore 11:30 da Monteobizzo

ore 18:00 dal coro del Convento

Lunedì dell’Angelo: ore 11:15 da Riccò

Domenica 19 Aprile: in Albis e della Misericordia:

ore 10:00 da Gaiato

ore 18:00 dal coro del Convento

Meditazione per le letture del giorno di Pasqua

Letture giorno di Pasqua

DOMENICA 12 APRILE 2020 PASQUA

Buona Pasqua, carissimi fratelli e sorelle!

La liturgia della domenica di Pasqua offre di scegliere fra alcuni brani, tutti del Nuovo Testamento. Non stupitevi se trovate altri brani in qualche pubblicazione. Qui vi offriamo le letture che riusciamo meglio ad accostare.

Dagli Atti degli apostoli (At 10,34a.37-43) 

In quei giorni, Pietro prese la parola e disse: «Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui.

E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti.

E ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio. A lui tutti i profeti danno questa testimonianza: chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome».

Commento

La testimonianza di Pietro dopo la Pentecoste a Cornelio e alla sua casa descrive la vicenda di Gesù come autenticata da Dio, un po’ come a Nazaret Gesù disse di essere consacrato per portare il lieto annunzio ai poveri (Luca 4). Qualifica se stesso e gli altri come testimoni di «tutte le cose» e, finalmente, fa l’annuncio della morte e risurrezione di Gesù. La fede di Pietro è ora matura e lo Spirito l’ha reso un testimone, un apostolo. 

Precisa che è Dio ad avere permesso a loro di credere e di testimoniare (ammissione di fragilità) rimanendo con loro dopo la risurrezione. L’annuncio è per tutti quelli che sono in ricerca, anche per lui, Cornelio che, da soldato, non è che avesse tempo per fare delle gran ricerche. L’annuncio culmina nell’affermazione, conforme a «tutti i profeti» (dunque accessibile ai Giudei e ai loro simpatizzanti), che «chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome». 

1Cor 5, 6-8

Fratelli, non sapete che un po’ di lievito fa fermentare tutta la posta? Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete àzzim.

E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato!

Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con àzzimi di sincerità e di verità.

Commento

Paolo sta sgridando dei Corinzi credenti in Gesù che si vantavano di tenere fra loro un fratello che ha peccato in forma continuata e pubblica, con l’incesto, perché, secondo loro, in Cristo si deve superare ogni giudizio morale. Non aggredisce il peccatore di incesto ma il peccato di vanto dei suoi avvocati, e lo fa descrivendolo come il lievito che fa fermentare la pasta, cioè come una superiorità ai comandamenti che fa perdere anche l’amicizia di Cristo. Anche Gesù aveva parlato del lievito dell’ipocrisia. 

Nella pasqua giudaica, si doveva liberare la casa da ogni pane fermentato e ripartire da capo. Paolo ne prende lo spunto per insegnare che in Cristo bisogna essere azzimi, non come pane bello gonfio, purificati dall’obbedienza che costa personalmente, e dà la motivazione più importante: «Cristo nostra pasqua è stato immolato». Ci sono delle conversioni che non si riesce ad attuare se non per amore di lui che, per amore nostro, ha dato tutto se stesso. Per amore, non per legge, quindi obbedendo di più che alla legge. 

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 28,1-10)

Dopo il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l’altra Maria andarono a visitare la tomba.

Ed ecco, vi fu un gran terremoto. Un angelo del Signore, infatti, sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Il suo aspetto era come folgore e il suo vestito bianco come neve. Per lo spavento che ebbero di lui, le guardie furono scosse e rimasero come morte.

L’angelo disse alle donne: «Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: “È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete”. Ecco, io ve l’ho detto».

Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli.

Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno».

Commento 

San Matteo, come gli altri evangelisti, racconta da appassionato di Cristo e propone con cura ciò che spera aiuti altri a credere. La sua è una testimonianza di fede che presenta dei dati di realtà, constatabili da parte di tutti, ma enfatizza che quello che descrive l’ha fatto il Signore. Per questo, pur trasmettendo dati storici, si preoccupa di sostenere l’atto di credere. Capiamo che a maggior ragione ciò che descrive di riscontrabile ha valore: non aveva l’intenzione di costruire una storia accessibile a non credenti. Vediamo tali dati. 

Non può essere stata la Chiesa a dire la fede nella risurrezione perché l’ha ricevuta dalla tradizione orale. La Chiesa si formò a partire dalla fede nella morte e risurrezione di Gesù, anche se sulla base di relazioni avviate da Gesù in Galilea. Grazie a testi oculari, si formarono due fondamentali tradizioni orali: l’una trasmise che il sepolcro era vuoto, l’altra che Gesù apparve. La fede esplicita che Gesù era risorto dai morti, nei primi testimoni, si ebbe poco, e nessuno descrisse il momento del risorgere di Gesù (lo fa qualche vangelo apocrifo fantasioso). 

I Vangeli e Paolo parlano del sepolcro vuoto con leggerezza, come poco importante per la fede più matura. In Matteo 27, il sepolcro fu preso in consegna dalle guardie del Sinedrio ma, il mattino del giorno dopo la festa, essi lo constatarono, era vuoto.  Si deve ricordare che, normalmente, quando moriva una persona che aveva rispettabilità, la sua salma veniva seppellita in un primo sepolcro, per poi trasferirla in uno importante, che andava preparato, circa un mese dopo. Le storie e l’archeologia non rilevano il secondo sepolcro di Gesù ma solo il primo, vicino il Gòlgota. Sembra una verifica che la salma di Gesù non era nel sepolcro. 

Giovanni è l’unico che narra (al capitolo 20, che trovate in qualche messale oggi) lo sviluppo delle constatazioni del discepolo amato e di Pietro al sepolcro. Non hanno apparizioni di angeli, ma assommano il sepolcro vuoto, le bende, il sudario; il discepolo amato viene poi soccorso dalla memoria delle Scritture. Così arriva alla fede, a quella più matura degli altri, relativa al fatto che Gesù era risorto dai morti. In realtà l’enfasi del Quarto vangelo non è neppure su questa fede ma su quella di chi crederà senza aver visto. Lo vedremo domenica prossima.

La tradizione orale di un’apparizione di Gesù aveva due assi quanto ai destinatari e due quanto al luogo. A chi apparve? Ancora due tipi di destinatari: delle e dei seguaci, e i discepoli che vennero costituiti testimoni. Il primo tipo è anche detto di riconoscimento e ha tre versioni. La prima è l’incontro con le donne che si ha qui, in Matteo 28, e in Giovanni 20; tale incontro viene preceduto da uno o più angeli nelle tradizioni del sepolcro vuoto. Il secondo tipo ricorda l’apparizione del Risorto agli undici (tutti i testimoni), ai sette discepoli in Gv 21, a due discepoli in Marco 16 e Luca 24 (quelli che andavano a Emmaus), in 1Corinzi 15 a 500 fratelli e, ancora, a Giacomo e agli apostoli; per ultimo, infine, a Paolo. Nel nostro brano, le donne vanno a parlare con i discepoli poi lo stesso Risorto si manifesta loro. La gradualità del riconoscere significa che Gesù non era percepibile da tutti; quindi, se fossero esistiti i nostri telefonini, non l’avrebbero potuto ritrarre. Se avessero provato a fare un «selfie», lui non veniva! Per vederlo ci vuole una fede dall’alto abbracciata volontariamente. 

In quali luoghi apparve? In Galilea in Matteo 28 e Giovanni 21. A Gerusalemme secondo 1Corinzi 15, Luca 24 (e sulla strada di Emmaus), Giovanni 20 e Atti 1; non si sa dove in Marco 16; sulla strada di Damasco a Paolo (Atti 9; 22; 26). La pluralità dei luoghi di apparizione dice che non si tratta di un unico episodio, legato alla fascinazione, come avviene in una suggestione, ma di tanti eventi, narrati da testi i quali non hanno concordato cosa e come dire. 

Il Primo Vangelo aggiunge che, nell’apparizione di Gesù alle donne, lui dice loro di andare dai discepoli raccomandando che vadano in Galilea. Anche noi dobbiamo fidarci della testimonianza che Dio ha risuscitato Gesù per come la offrono coloro che lui ha incontrato. La ragione ci aiuta ripassando i luoghi, i tempi, le persone e la loro credibilità, sia i dettagli sia l’insieme, e tirando le conseguenze. La Chiesa che presenta Gesù risorto ci aiuterà a unire con gioia ragione, sentimento e fede, celebrando per 50 giorni la stessa pasqua di risurrezione. Questo potremo testimoniare, come dei nuovi Matteo, a nostra volta.

Meditazione per le letture della Veglia Pasquale

Letture Veglia pasquale 2020

La veglia fa ascoltare sette brani dell’Antico Testamento, seguiti da altrettanti salmi o cantici, una lettura di Paolo e il Vangelo del sepolcro vuoto, quest’anno da Matteo. Presentiamo tre letture che rappresentano i tre assi dell’Antico Testamento (Legge, Profeti e Scritti) e il Vangelo. 

Terza lettura della veglia

Dal libro dell’Esodo (14, 15-15,1)

In quei giorni, il Signore disse a Mosè: «Perché gridi verso di me? Ordina agli Israeliti di riprendere il cammino. Tu intanto alza il bastone, stendi la mano sul mare e dividilo, perché gli Israeliti entrino nel mare all’asciutto. Ecco, io rendo ostinato il cuore degli Egiziani, così che entrino dietro di loro e io dimostri la mia gloria sul faraone e tutto il suo esercito, sui suoi carri e sui suoi cavalieri. Gli Egiziani sapranno che io sono il Signore, quando dimostrerò la mia gloria contro il faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri».

L’angelo di Dio, che precedeva l’accampamento d’Israele, cambiò posto e passò indietro. Anche la colonna di nube si mosse e dal davanti passò dietro. Andò a porsi tra l’accampamento degli Egiziani e quello d’Israele. La nube era tenebrosa per gli uni, mentre per gli altri illuminava la notte; così gli uni non poterono avvicinarsi agli altri durante tutta la notte.
Allora Mosè stese la mano sul mare. E il Signore durante tutta la notte risospinse il mare con un forte vento d’oriente, rendendolo asciutto; le acque si divisero. Gli Israeliti entrarono nel mare sull’asciutto, mentre le acque erano per loro un muro a destra e a sinistra. Gli Egiziani li inseguirono, e tutti i cavalli del faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri entrarono dietro di loro in mezzo al mare.

Ma alla veglia del mattino il Signore, dalla colonna di fuoco e di nube, gettò uno sguardo sul campo degli Egiziani e lo mise in rotta. Frenò le ruote dei loro carri, così che a stento riuscivano a spingerle. Allora gli Egiziani dissero: «Fuggiamo di fronte a Israele, perché il Signore combatte per loro contro gli Egiziani!». 

Il Signore disse a Mosè: «Stendi la mano sul mare: le acque si riversino sugli Egiziani, sui loro carri e i loro cavalieri». Mosè stese la mano sul mare e il mare, sul far del mattino, tornò al suo livello consueto, mentre gli Egiziani, fuggendo, gli si dirigevano contro. Il Signore li travolse così in mezzo al mare. Le acque ritornarono e sommersero i carri e i cavalieri di tutto l’esercito del faraone, che erano entrati nel mare dietro a Israele: non ne scampò neppure uno. Invece gli Israeliti avevano camminato sull’asciutto in mezzo al mare, mentre le acque erano per loro un muro a destra e a sinistra. 

In quel giorno il Signore salvò Israele dalla mano degli Egiziani, e Israele vide gli Egiziani morti sulla riva del mare; Israele vide la mano potente con la quale il Signore aveva agito contro l’Egitto, e il popolo temette il Signore e credette in lui e in Mosè suo servo.
Allora Mosè e gli Israeliti cantarono questo canto al Signore e dissero: «Voglio cantare al Signore, / perché ha mirabilmente trionfato».

Commento

«Perché gridi verso di me?»: la domanda da cui parte il brano testimonia lo sconforto che regnava nel popolo che, pur sostenuto dalle promesse di Dio, era partito in fretta dall’Egitto e ora si trovava il cammino sbarrato dal mare. Il Signore l’assiste e Mosé media il suo intervento stendendo la verga due volta, per aprire le acque e per chiuderle.

Come si fa ad attraversare le acque della morte? Come si può rinascere? Per Dio è chiaro ma per i credenti si tratta di esercitare la pazienza e di muovere un passo alla volta nella direzione che le promesse indicano. Queste acque da attraversare sono un’esperienza che segna l’umanità, come avviene di nuovo al tempo di Giosuè che accompagna il popolo dentro il Giordano. Tornano nell’angoscia di questo tempo e richiamano il battesimo che seppellisce e fa passare a Dio, come dice la Lettera ai Romani (cap. 6, ottava lettura della veglia). Dopo si capisce, prima ce ne vuole. Dice così anche Gesù a Pietro: “Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo” (Gv 13,7).

Dopo, “Israele vide”. Prima ascolti, poi vedrai; prima eserciti l’atto di credere abbandonandoti a lui come Cristo si è abbandonato al Padre sulla croce, poi ricevi le prove e ti si libera il canto. Il canto dice che l’esodo della vita non è un percorso esistenzialista, un viaggio senza meta. Il ristoro c’è e si arricchisce di gioia perché il Signore agisce. 

Quarta lettura della veglia

Dal libro del profeta Isaia (54, 5-14)

Tuo sposo è il tuo creatore, Signore degli eserciti è il suo nome; tuo redentore è il Santo d’Israele, è chiamato Dio di tutta la terra. Come una donna abbandonata e con l’animo afflitto, ti ha richiamata il Signore. Viene forse ripudiata la donna sposata in gioventù? – dice il tuo Dio. Per un breve istante ti ho abbandonata, ma ti raccoglierò con immenso amore. In un impeto di collera ti ho nascosto per un poco il mio volto; ma con affetto perenne ho avuto pietà di te, dice il tuo redentore, il Signore. Ora è per me come ai giorni di Noè, quando giurai che non avrei più riversato le acque di Noè sulla terra; così ora giuro di non più adirarmi con te e di non più minacciarti. Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio affetto, né vacillerebbe la mia alleanza di pace, dice il Signore che ti usa misericordia.

Afflitta, percossa dal turbine, sconsolata, ecco io pongo sullo stibio le tue pietre e sugli zaffìri pongo le tue fondamenta. Farò di rubini la tua merlatura, le tue porte saranno di berilli, tutta la tua cinta sarà di pietre preziose. Tutti i tuoi figli saranno discepoli del Signore, grande sarà la prosperità dei tuoi figli; sarai fondata sulla giustizia. Tieniti lontana dall’oppressione, perché non dovrai temere, dallo spavento, perché non ti si accosterà.

Commento

Questa pagina compie il «Quarto canto del servo», che racconta il prezzo di sofferenze che il servo paga mostrando la fecondità del servo: il Signore lo ricompensa facendosi incontro a Gerusalemme come il suo sposo oltre ogni aspettativa. Le parole sulla donna «abbandonata e con l’animo afflitto» e «sposata in gioventù» si applicano all’umanità atterrita, che sperimenta l’abbandono ma anche la forza delle relazioni. Il «tuo redentore», la sua parte, la fa. 

Non si torna alla distruzione del diluvio perché la prospettiva di morire ha una parabola e lascia spazio alla rinascita. Israele non tornerà in esilio a Babilonia e non deve prevedere altra angoscia. A testimoniare la saldezza di questa speranza sono le mura e le porte di Gerusalemme che i reduci finalmente vedono. Quelle mura il poeta le trasfigura, per indicare la città che sarà, riedificata e impreziosita di tanti bambini e giovani. Ogni persona è pietra viva e preziosa, specialmente chi è provato e anche chi manca all’appello. Accogliere chi soffre, il cittadino come il pellegrino, esercitare la fratellanza e sorellanza fa sì che non si esili neppure più un cagnolino e non si opprima più alcuno. Non produrre spaventi ma diventare umani. 

Salmo che segue l’Epistola

Dal libro dei Salmi (118,1s, 16s, 22s)

R. Alleluia, alleluia, alleluia.

Rendete grazie al Signore perché è buono,

perché il suo amore è per sempre.

Dica Israele:

«Il suo amore è per sempre». R.

La destra del Signore si è innalzata,

la destra del Signore ha fatto prodezze.

Non morirò, ma resterò in vita

e annuncerò le opere del Signore. R. 

La pietra scartata dai costruttori

è divenuta la pietra d’angolo.

Questo è stato fatto dal Signore:

una meraviglia ai nostri occhi. R.

Commento

Il salmo 118 esorta il popolo d’Israele a lodare e ringraziare il Signore perché lo ama, l’ha amato e l’amerà (vv. 1-4, dai quali la prima strofa). Il salmista esorta a lodare la comunità e le sue diverse componenti, compresi coloro che simpatizzano, e dà il motivo, sperimentato, del ringraziare: il perdurare della capacità che Dio ha di salvare. 

L’inno ricorda poi delle vicende che hanno toccato nel vivo la carne della comunità che prega, nelle quali Dio l’ha salvata (vv. 5-18, dai quali la seconda strofa). Chi riprende vita si mette a dirlo a tutti e diventa annunciatore. Parla su scala domestica e senza finzioni, così che chi lo conosce avverte la vita nuova una moltiplicazione di grazia. 

Nell’ultima sezione il salmo ritrae chi prega davanti al tempio, dove (nella festa delle Capanne) si fa festa intorno all’altare (vv. 19-27, dai quali la nostra terza strofa). La pietra d’angolo univa due muri dando saldezza. La frase eredita la tradizione biblica della scelta di Dio che sorprende le previsioni e rappresenta la città che si ricostruisce grazie alla solidarietà. 

Vangelo della veglia

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 28,1-10)

Dopo il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l’altra Maria andarono a visitare la tomba.

Ed ecco, vi fu un gran terremoto. Un angelo del Signore, infatti, sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Il suo aspetto era come folgore e il suo vestito bianco come neve. Per lo spavento che ebbero di lui, le guardie furono scosse e rimasero come morte.

L’angelo disse alle donne: «Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: “È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete”. Ecco, io ve l’ho detto».

Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli.

Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno».

Commento

Il racconto salda l’evento ai luoghi e ai tempi che tutti possono verificare e, al tempo stesso, a una manifestazione dal carattere personale e divino. Supponendo che siano le 6 di mattina, sono passate circa 36 ore dalle tre del venerdì, ora della morte di Gesù, 33 dalla sepoltura. Maria di Magdala e l’altra Maria si erano sedute là (Mt 27,61) e il Sinedrio aveva lasciato delle guardie a vigilare (27,66). Matteo ritrae il «primo giorno» nel quale Gerusalemme torna ai ritmi della settimana dopo la sua festa. All’alba, leggiamo, le donne andarono di nuovo al sepolcro. Maria veniva da Magdala, villaggio vicino Tiberiade, e tale nome ritorna nelle tradizioni pasquali. 

Di genere invece teofanico sono il terremoto e l’apparizione dell’angelo che rotola la pietra e vi si siede sopra. Le guardie e le donne si spaventano fino ad atterrire. Le donne non sapevano cosa fare però Dio attraverso l’angelo le tranquillizzò dicendo «Voi non abbiate paura!» Con forza e fermezza le rassicura. È quello che vuole fare anche con noi perché si è sicuri solo quando Dio fa e dice qualcosa di suo. L’angelo annuncia alle donne che Gesù è risorto, che quindi non ha senso cercarlo in quel luogo di morte. Lo possono però constatare: è vuoto. Devono andare dai discepoli, svegliarli e dire loro che è risorto e li precede in Galilea come aveva preannunciato. 

Corrono, parlano poi incontrano Gesù in persona e l’adorano. Su quale via, di andata o di ritorno? Se all’andata, Gesù conferma la sollecitazione dell’angelo, rafforzando il mandato delle testimoni. Se al ritorno, la parola di Matteo è simile a quella degli altri Vangeli: Gesù ripete di andare dai discepoli raccomandando che vadano in Galilea perché non avevano creduto al primo racconto delle donne. Bisogna fidarsi in ogni modo della testimonianza che Dio ha risuscitato Gesù per come la offrono coloro che lui ha incontrato. La Chiesa stessa l’ha ricevuta dalla tradizione orale quando non era ancora la Chiesa, e nasce proprio dalla testimonianza. La sua fede viene dall’ascolto e si genera anche oggi grazie alla testimonianza che ognuno a sua volta dà. 

Commento alle letture del venerdì Santo

Venerdì santo 2020

In questo giorno, nella liturgia della passione, ascoltiamo un brano di Isaia, il “Quarto canto del servo” (Is 52,13–53,12), e l’esortazione della Lettera agli Ebrei ad accostarsi con fiducia a lui (Eb 4,14-16; 5,7-9). Soprattutto, ascoltiamo la Passione secondo Giovanni. La riportiamo con qualche nota di meditazione, quest’anno più sensibile causa il dramma che il mondo sta vivendo. 

GIOVANNI 18,1-11

Dopo aver detto queste cose, Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cedron, dove c’era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli. Anche Giuda, il traditore, conosceva quel luogo, perché Gesù spesso si era trovato là con i suoi discepoli. Giuda dunque vi andò, dopo aver preso un gruppo di soldati e alcune guardie fornite dai capi dei sacerdoti e dai farisei, con lanterne, fiaccole e armi. Gesù allora, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: “Chi cercate?”. Gli risposero: “Gesù, il Nazareno”. Disse loro Gesù: “Sono io!”. Vi era con loro anche Giuda, il traditore. Appena disse loro “Sono io”, indietreggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: “Chi cercate?”. Risposero: “Gesù, il Nazareno”. Gesù replicò: “Vi ho detto: sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano”, perché si compisse la parola che egli aveva detto: “Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato”. Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori, colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l’orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. Gesù allora disse a Pietro: “Rimetti la spada nel fodero: il calice che il Padre mi ha dato, non dovrò berlo?”. 

MEDITAZIONE

Uscendo dal cenacolo l’eco del discorso iniziato dopo la lavanda dei piedi si spegne. Vanno nel giardino che richiama quello dei progenitori e qui, come il Padre disse e tutto fu fatto, Gesù dice ai soldati «Io sono». Questo li confonde e libera i suoi che possono andare. Gesù «sapeva», e non vive l’abbandono perché ha il Padre con sé. I discepoli si separano ma invierà il Paraclito ad assisterli. 

GIOVANNI 18,12ss

Allora i soldati, con il comandante e le guardie dei Giudei, catturarono Gesù, lo legarono e lo condussero prima da Anna: egli infatti era suocero di Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno. Caifa era quello che aveva consigliato ai Giudei: “È conveniente che un solo uomo muoia per il popolo”.

MEDITAZIONE

L’arresto è il sintomo che è finita ma anche che si sta realizzando il progetto del Padre che «un solo uomo muoia per il popolo» (11,50). Di esso il sommo sacerdote ebbe il presentimento, se pur per ricavarne un vantaggio. 

GIOVANNI 18,15-18

Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme a un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote ed entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote. Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell’altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare Pietro. E la giovane portinaia disse a Pietro: “Non sei anche tu uno dei discepoli di quest’uomo?”. Egli rispose: “Non lo sono”. Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava.

MEDITAZIONE

Tre volte la Passione parla di un «altro discepolo», dicendolo noto o conosciuto ai sacerdoti e non chiarisce chi è. Entra per la porta e cerca di star vicino a Gesù mentre Pietro si tutela come chi ha capito che non c’è nulla da fare. Il sentimento del primo è meglio della ragione del secondo. 

GIOVANNI 18,19-27

Il sommo sacerdote, dunque, interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e al suo insegnamento. Gesù gli rispose: “Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto”. Appena detto questo, una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: “Così rispondi al sommo sacerdote?”. Gli rispose Gesù: “Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?”. Allora Anna lo mandò, con le mani legate, a Caifa, il sommo sacerdote.

Intanto Simon Pietro stava lì a scaldarsi. Gli dissero: “Non sei anche tu uno dei suoi discepoli?”. Egli lo negò e disse: “Non lo sono”. Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio, disse: “Non ti ho forse visto con lui nel giardino?”. Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò.

MEDITAZIONE

L’interrogatorio del Sinedrio riguarda l’insegnamento di Gesù. Essi sapevano quello che aveva detto nelle sinagoghe della Galilea, perché avevano mandato dei farisei ad ascoltare e avevano a due passi il tempio. Gesù disse la sua parola più chiara con il gesto della purificazione dai venditori. 

GIOVANNI 18,28-32

Condussero poi Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio, per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. Pilato dunque uscì verso di loro e domandò: “Che accusa portate contro quest’uomo?”. Gli risposero: “Se costui non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato”. Allora Pilato disse loro: “Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra Legge!”. Gli risposero i Giudei: “A noi non è consentito mettere a morte nessuno”. Così si compivano le parole che Gesù aveva detto, indicando di quale morte doveva morire.

MEDITAZIONE

All’alba di un altro giorno alla porta del tempio gli volevano far condannare una donna e lui la liberò (Gv 8,1-11). Questi continuano, imperterriti, a confondere leggi con leggi, ma si compie quel che bisogna che avvenga. L’alba inizia già a portare sollievo.  

GIOVANNI 18,33-40

Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: “Sei tu il re dei Giudei?”. Gesù rispose: “Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?”. Pilato disse: “Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?”. Rispose Gesù: “Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù”. Allora Pilato gli disse: “Dunque tu sei re?”. Rispose Gesù: “Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”. Gli dice Pilato: “Che cos’è la verità?”. 

E, detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: “Io non trovo in lui colpa alcuna. Vi è tra voi l’usanza che, in occasione della Pasqua, io rimetta uno in libertà per voi: volete dunque che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?”. Allora essi gridarono di nuovo: “Non costui, ma Barabba!”. Barabba era un brigante.

MEDITAZIONE

Inizia il processo di Pilato e va in scena, fuori del racconto, il confronto che, al termine del I secolo, avviene fra i Giudei e l’impero. Il dialogo è a tre voci. Gesù afferma che il suo regno non è di questo mondo e, nella più grande quiete, «Io sono re». I capi al regno di questo mondo si erano abituati e chiedono libero il brigante, uno come loro, alle autorità dell’impero. Pilato testimonia la decadenza che fa stare al di qua della verità, per attaccamento alla ricerca o per comodo. 

GIOVANNI 19,1-11 

Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora. Poi gli si avvicinavano e dicevano: “Salve, re dei Giudei!”. E gli davano schiaffi. Pilato uscì fuori di nuovo e disse loro: “Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui colpa alcuna”. Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: “Ecco l’uomo!”. Come lo videro, i capi dei sacerdoti e le guardie gridarono: “Crocifiggilo! Crocifiggilo!”. Disse loro Pilato: “Prendetelo voi e crocifiggetelo; io in lui non trovo colpa”. Gli risposero i Giudei: “Noi abbiamo una Legge e secondo la Legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio”.

All’udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura. Entrò di nuovo nel pretorio e disse a Gesù: “Di dove sei tu?”. Ma Gesù non gli diede risposta. Gli disse allora Pilato: “Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?”. Gli rispose Gesù: “Tu non avresti alcun potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato a te ha un peccato più grande”.

MEDITAZIONE

Pilato non poteva fare flagellare l’innocente e invece gli infligge i 39 colpi sulla schiena che, dati con corde munite di pezzi di metallo, strappano la sua pelle. Pilato lo mostra così, mentre sparge sangue e dice «Ecco l’uomo». E’ un parto. Nasce un uomo che non grida, come chi viene dalla carne, ma fa silenzio, perché ha dallo Spirito il potere di generare nella pace. I flagellati di oggi gli sono simili perché il loro silenzio aspira al parto di un uomo libero dall’indifferenza. 

GIOVANNI 19,12-16a 

Da quel momento Pilato cercava di metterlo in libertà. Ma i Giudei gridarono: “Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque si fa re si mette contro Cesare”. Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette in tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. Era la Parasceve della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: “Ecco il vostro re!”. Ma quelli gridarono: “Via! Via! Crocifiggilo!”. Disse loro Pilato: “Metterò in croce il vostro re?”. Risposero i capi dei sacerdoti: “Non abbiamo altro re che Cesare”. Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.

MEDITAZIONE

La ricerca di Pilato è senza energia e il suo giudizio ha del grottesco perché Giovanni racconta in modo da alludere che a sedere sullo scranno di giudice sia Gesù. Il suo processo al mondo dell’incredulità procede sotto traccia. 

GIOVANNI 19,16b-22 

Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo. Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: “Gesù il Nazareno, il re dei Giudei”. Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I capi dei sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: “Non scrivere: “Il re dei Giudei”, ma: “Costui ha detto: Io sono il re dei Giudei””. Rispose Pilato: “Quel che ho scritto, ho scritto”.

MEDITAZIONE

Non l’iscrizione può identificare il giudice e re, per quanto dica la verità, ma la compagnia ai due condannati. Sono i primi che, elevato sulla croce, attira a sé e fa sì che dalla morte fiorisca la vita, dalla solitudine la comunione, dalla violenza la pace.

GIOVANNI 19,23s

I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato -, e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: “Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca”. Così si compiva la Scrittura, che dice:

Si sono divisi tra loro le mie vesti

e sulla mia tunica hanno gettato la sorte. 

E i soldati fecero così.

MEDITAZIONE

La tunica rappresenta, priva com’è di cuciture, la volontà di Gesù di saldare i chiamati al suo popolo e di mobilitare Israele a parlare alle nazioni; è anche, già, l’unità della Chiesa che la Pasqua genera. Le comunità e le Chiese ammettono i peccati di divisione e i limiti di comunione. 

GIOVANNI 19,25ss

Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco tua madre!”. E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.

MEDITAZIONE

La madre di Gesù viene affidata a un figlio che l’accoglie nella sua casa; la include in una famiglia che la custodisce e che farà diventare Chiesa la sua casa. Viceversa al figlio che perde colui che l’amava, Gesù dona una madre. Le famiglie quest’anno celebrano la pasqua senza radunarsi nella comunità. Come Chiese domestiche. 

GIOVANNI 19,28ss 

Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: “Ho sete”. Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: “È compiuto!”. E, chinato il capo, consegnò lo spirito. 

SILENZIO

GIOVANNI 19,31-37

Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato -, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto.

MEDITAZIONE

Si vuole evitare qualcosa di sgradevole, che diminuisca nella città la festa. Qualcuno però ha accettato che la pena e la sofferenza temprino la sua relazione con Cristo e continua a guardarlo, e così «ha visto». Il discepolo ha visto che dal costato la lancia ottiene acqua e sangue, il parto della Chiesa, nuova Eva, tratta dal Cristo assopito, nuovo Adamo. Il crocifisso plasma la fede della gente cristiana nelle case.

GIOVANNI 19,38-42

Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatea, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo – quello che in precedenza era andato da lui di notte – e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di àloe. Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là dunque, poiché era il giorno della Parasceve dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù.

MEDITAZIONE

Come Giuseppe e Nicodemo, gli increduli che si lasciano toccare dal dubbio per amore di Cristo, anche noi riposiamoci nel giorno settimo, con colui nel quale Dio ha creato di nuovo il mondo e offerto senso alla storia. E’ vicino il sepolcro di Gesù e così la comunione dei santi. 

Commento alle letture del Giovedì Santo

Giovedì santo 9 aprile 2020

Dal libro dell’Esodo (Es 12,1-8.11-14)

In quei giorni, il signore disse a Mosè e ad Aronne in terra d’Egitto: «questo mese sarà per voi l’inizio dei mesi, sarà per voi il primo mese dell’anno. Parlate a tutta la comunità d’Israele e dite: “il dieci di questo mese ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per casa. Se la famiglia fosse troppo piccola per un agnello, si unirà al vicino, il più prossimo alla sua casa, secondo il numero delle persone; calcolerete come dovrà essere l’agnello secondo quanto ciascuno può mangiarne. 

Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, nato nell’anno; potrete sceglierlo tra le pecore o tra le capre e lo conserverete fino al quattordici di questo mese: allora tutta l’assemblea della comunità d’Israele lo immolerà al tramonto. Preso un po’ del suo sangue, lo porranno sui due stipiti e sull’architrave delle case nelle quali lo mangeranno. In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con àzzimi e con erbe amare. Ecco in qual modo lo mangerete: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta. È la pasqua del signore. 

In quella notte io passerò per la terra d’Egitto e colpirò ogni primogenito nella terra d’Egitto, uomo o animale; così farò giustizia di tutti gli dèi dell’Egitto. Io sono il signore! Il sangue sulle case dove vi troverete servirà da segno in vostro favore: io vedrò il sangue e passerò oltre; non vi sarà tra voi flagello di sterminio quando io colpirò la terra d’Egitto. Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del signore: di generazione in generazione lo celebrerete come un rito perenne”».

Note di commento alla prima lettura

Bagnare la porta con il sangue dell’agnello serve a segnalare all’angelo che passerà che quella è una casa di oppressi che devono lasciare tutto, gente da salvare, non degli oppressori, quelli che l’angelo dovrà colpire. 

Si tratta dunque di purificare le porte con il sangue che rappresenta la donazione che nutre la famiglia. E’ un dramma partire e non voltarsi indietro eppure è qualcosa di secco, di salutare, non come quei drammi tira e molla delle relazioni avvelenate dall’egoismo. 

Le relazioni ripartono nel pellegrinaggio, perché la scelta di partire è data dalla necessità, dalla volontà di Dio che i padri e le madri sottoscrivono, in ascolto dei leaders della comunità. 

Bisogna andare, e l’agnello lo si mangerà di nuovo, dove si arriverà, per celebrare questa salute, questo rinnovamento della vita, questa partenza. Che è anche cesura, necessità, accoglienza delle priorità di Dio, responsabilità di adulti. 

Dalla Prima lettera ai Corinzi di Paolo (1Cor 11,23–26)

Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me».
Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me».
Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 13,1-15)  

Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine.

Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto.

Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri».

Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi».

Commento al Vangelo

Il Quarto vangelo non racconta l’istituzione dell’eucaristia come Paolo (seconda lettura) e gli altri Vangeli ma trasmette le parole di benedizione sul pane nel racconto noto come la moltiplicazione dei pani (Gv 6). Conosce dunque questa tradizione ma dell’ultima cena ricorda la lavanda dei piedi. 

Gli altri presentano a loro volta la dimensione diaconale, in alcune parole successive al racconto della Cena, specie Luca che ricorda le parole di Gesù diacono (Lc 22,27). Luca ha anzi composto con parole di Gesù e dei discepoli un dialogo che segue la Cena, che Giovanni allarga. 

La lavanda dei piedi istituisce l’eucaristia nella sua dimensione diaconale, cioè di servizio, parallela a quella liturgica, cioè dei riti.

I fatti di cui parlano avvengono «prima della festa di pasqua», non la vigilia del sabato, come facevano tutte le famiglie di Gerusalemme, ma il giovedì sera. Perché? Per le minacce che la polizia del Sinedrio esercitava sul gruppo di Gesù; perché farlo il venerdì sera come tutti, li avrebbe esposti all’arresto. 

Il segno che il narratore trasmette è la lavanda dei piedi che Gesù, di punto in bianco, compie a metà della Cena. Era d’uso che un servo o una serva la facesse all’inizio, e probabilmente ebbe luogo, appunto, all’ingresso nella sala, ma Giovanni non la ricorda. Al centro della Cena non ha il senso della purificazione rituale, ma uno che occorre comprendere. Vediamo come in un giallo.

Gesù depone le vesti (fisiche e simboliche, quelle del capo) si cinge (verbo della prima lettura) l’asciugatoio e passa (verbo dell’angelo nella prima lettura) dai discepoli con il catino pieno d’acqua e solleva la domanda sul significato del gesto. A dirlo, e lo ringraziamo per averlo fatto, chi è se non Pietro? Ma facciamolo aspettare un momento e torniamo da Gesù. 

Cosa fa? Il servo; il servo che, nei simposi del tempo, faceva sapere ai commensali qualcosa che il padrone di casa faceva filtrare. I banchetti erano occasioni di relax ma anche di strategia, di intese fra persone che influivano sulla società; un servo saggiava gli umori e faceva trapelare un’intenzione, per permettere al padrone di fare una proposta senza sciuparla. 

Tenendo conto di questi elementi storico-culturali, si capisce che Gesù prima pone il segno che interpella poi fa il discorso, riprendendo le vesti, da capo, sulla diaconia dei peccatori. Immaginiamo che avesse solo parlato senza aver lavato i piedi… è come un discorso di quel padrone di casa che non ottiene il consenso perché non l’ha preparato. 

Pietro per primo si coinvolge mettendo in chiaro la sua resistenza, facendo una domanda che serve a Gesù più di un’obbedienza. Cosa chiede? Domanda: «”Tu lavi i piedi a me?!”». Vuole Gesù lavarlo quando è logico il contrario? Vuole lavargli i piedi come agli altri quando è il suo fiduciario? 

Alla prospettiva di perdere Gesù, Pietro obbedisce e chiede che Gesù gli faccia il bagno; che spontaneo che è! Veramente, lo è troppo, perché Gesù non vuole lavarlo tutto. Egli ha accolto la sua parola e questa l’ha già purificato. In queste parole noi lettori ravvisiamo il battesimo e la capacità della Chiesa di far bene, perchè sta unita con la fede al Signore. Il bisogno è preciso non massimalista, non c’è da cambiare tutto nella Chiesa o in Pietro, ma una cosa. 

Gesù riprende le vesti e inizia a esporre il progetto. Esso occuperà i capitoli da 13 a 17. Poi ci sarà la passione (cc. 18-19, che ascolteremo venerdì). I discepoli del Signore devono disporsi a servire e così faranno i fatti che solleveranno domande (“Perché fate questo bene?!”). Allora potranno chiedere alla società di smettere le minacce a danno dei diversi e di aiutare proprio coloro che avverte condannabili a riprendersi. 

La Chiesa dell’ultima cena ha forma domestica e sollecita la Chiesa a conoscere che è se stessa in ogni casa, prima che in quella casa che si è costruita per il raduno di tanti. Nelle case il Signore Gesù serve «i suoi» e chiede loro di portare pazienza con i propri cari, di ospitare lo straniero, di chiedere e donare perdono, di trovare una stanza per un carcerato, di fare famiglia a un malato di mente, di adottare un bambino invece di metterne al mondo uno uguale a noi.

Se una Chiesa fa queste cose, le prediche che efficacia hanno? E’ già così grazie a quella cosa straordinaria che è la Caritas, che ringraziamo, e grazie a quelle persone che della diaconia sono i portatori sacramentali, i diaconi, che ringraziamo. E’ già così ma dobbiamo migliorare perché il giovedì santo è il giorno dell’eucaristia come servizio, come diaconia.  

Lettura dei racconti della Passione

Nei giorni di Lunedì, Martedì e Mercoledì Santo alle ore 19:00 abbiamo vissuto un appuntamento importante e toccante per la nostra comunità in cammino verso la Pasqua: la lettura dei tre racconti della Passione dei vangeli sinottici, Marco, Luca e Matteo.

Vi invitiamo, qualora non abbiate potuto seguirle a rivederle nel nostro canale youtube

Domenica delle Palme

DOM. 5 APRILE 2020 – DOMENICA DELLE PALME ANNO A

Chissà se qualcuno si ricorda che, domenica scorsa, abbiamo lasciato Gesù a Betania; chissà se qualcuno ricorda che, causa la risurrezione di Lazzaro, Gesù venne riconosciuto da alcuni Giudei e denunciato da altri (Gv 11,45s)!?

Nel fare di qualche giorno, il sinedrio si riunì e decretò la morte di Gesù mentre lui rimaneva a Efraim, nella valle del Giordano. Secondo Giovanni, che aderisce ai fatti riscontrabili, Gesù tornò poi a Betania e ricevette l’unzione da Maria. Poi con Lazzaro, forse le sorelle, di sicuro dei discepoli andò verso Gerusalemme; la cosa venne risaputa e una folla gli andò incontro con entusiasmo, anche per vedere Lazzaro di cui tutti parlavano. 

Ascoltiamo ora San Matteo, il vangelo che oggi introduce la processione con l’ulivo.

Vangelo secondo Matteo (cap. 21, versetti 1-11)

Mt 21,1-3 – QUANDO FURONO VICINI A GERUSALEMME E GIUNSERO PRESSO BÈTFAGE, VERSO IL MONTE DEGLI ULIVI, GESÙ MANDÒ DUE DISCEPOLI, DICENDO LORO: «ANDATE NEL VILLAGGIO DI FRONTE A VOI E SUBITO TROVERETE UN’ASINA, LEGATA, E CON ESSA UN PULEDRO. SLEGATELI E CONDUCETELI DA ME. E SE QUALCUNO VI DIRÀ QUALCOSA, RISPONDETE: IL SIGNORE NE HA BISOGNO, MA LI RIMANDERÀ INDIETRO SUBITO». 

In Matteo, Gesù mostra sovranità sugli eventi, dimostrando di sapere cosa accadrà ai discepoli che manda a cercare “un’asina, legata, e con essa il puledro”. Non subisce quello che accade e non casca nel tranello di esporsi troppo. 

Mt 21,4-7 – ORA QUESTO AVVENNE PERCHÉ SI COMPISSE CIÒ CHE ERA STATO DETTO PER MEZZO DEL PROFETA: «DITE ALLA FIGLIA DI SION: ECCO, A TE VIENE IL TUO RE, MITE, SEDUTO SU UN’ASINA E SU UN PULEDRO, FIGLIO DI UNA BESTIA DA SOMA».I DISCEPOLI ANDARONO E FECERO QUELLO CHE AVEVA ORDINATO LORO GESÙ: CONDUSSERO L’ASINA E IL PULEDRO, MISERO SU DI ESSI I MANTELLI ED EGLI VI SI POSE A SEDERE.

I discepoli assecondano la folla e Gesù, cautamente in quanto consapevole dei rischi, accetta di salire su un’asina e che gli facciano festa. Per chi conosce la Bibbia, quindi anzitutto per Gesù, è un movimento messianico ma, salendo sull’asina, Gesù l’interpreta come segno di mitezza e salvezza. L’asina è infatti, nel profeta Zaccaria (9,9), l’animale che il messia cavalca per portare la pace a Israele, alle nazioni e alla terra (Zc 9,10). 

Mt 21,8s – LA FOLLA, NUMEROSISSIMA, STESE I PROPRI MANTELLI SULLA STRADA, MENTRE ALTRI TAGLIAVANO RAMI DAGLI ALBERI E LI STENDEVANO SULLA STRADA. LA FOLLA CHE LO PRECEDEVA E QUELLA CHE LO SEGUIVA, GRIDAVA: «OSANNA AL FIGLIO DI DAVIDE! BENEDETTO COLUI CHE VIENE NEL NOME DEL SIGNORE! OSANNA NEL PIÙ ALTO DEI CIELI!».

I discepoli e, molto di più, la folla, acclamano «Osanna», un grido di vittoria (Sal 118,25s) «al figlio di Davide», cioè quel Salomone che diede gloria al suo popolo (1Re 1,33). Questo risponde all’entusiasmo ma tradisce aspettative nazionalistiche.

Nel presentare l’episodio, il “Primo vangelo” ne fa una scena di adesione a Cristo del vero Israele, il popolo libero dalle direttive dei capi: comunione con il suo re, che acclama Messia-Cristo. 

Mt 21,10s – MENTRE EGLI ENTRAVA IN GERUSALEMME, TUTTA LA CITTÀ FU PRESA DA AGITAZIONE E DICEVA: «CHI È COSTUI?». E LA FOLLA RISPONDEVA: «QUESTI È IL PROFETA GESÙ, DA NÀZARET DI GALILEA».

Anche Matteo, però, è cauto verso questo «consenso»: dice che «tutta la città fu presa da agitazione» e che la folla rispondeva «questi è il profeta». «Il profeta» è il profeta pari a Mosé che doveva venire, un’altra figura del messia ma, in Matteo 16,14, era sulla bocca della folla come uno di quelli con i quali essa parlava di Gesù. 

Che la folla acclami Gesù «il profeta», ora è insufficiente. Lui pensava a come salvare il suo popolo aiutandolo a comprendere la regalità di Dio; la folla pensa a chi vince e fa prodigi; i discepoli a cosa se ne può ricavare. 

Gesù, insomma, per rivelare la sua messianità si è sottoposto alle richieste dei discepoli, non senza intravedere l’esito della loro imprudenza, e della folla, non senza distinguersi dalla sua agitazione, e ha così mostrato che rimaneva sotto i pesi dei fratelli per salvarli. 

Come diceva Paolo: «Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli» (1Cor 9,22). 

L’immagine dell’asina richiama il giogo, pur leggero, del vangelo, che bisogna portare; Gesù lo raccomanda quando rivela «sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29) e quando chiede di “perseverare”. 

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Nel capitolo 49 di Isaia, Israele si lamenta perché si sente abbandonato ma il Signore gli ricorda che è la sua mamma e lo accudisce. Nella pagina che segue (la prima lettura della messa di oggi), chiamata “terzo canto del servo”, Israele parla con maturità e fede. 

Il servo da una parte è lo stesso popolo, dall’altra un testimone che Dio manda a Israele, uno che fa prevalere la sapienza, che attinge dalla Parola, sulle evidenze che, in questo momento, schiantano anche i più vigorosi.

Profeta Isaia (cap. 50, versetti 4-7)

Is 50,4 – IL SIGNORE DIO MI HA DATO UNA LINGUA DA DISCEPOLO, PERCHÉ IO SAPPIA INDIRIZZARE UNA PAROLA ALLO SFIDUCIATO. OGNI MATTINA FA ATTENTO IL MIO ORECCHIO PERCHÉ IO ASCOLTI COME I DISCEPOLI. 

Parla prima della propria parola “MI HA DATO UNA LINGUA DA DISCEPOLO”, perché ha ricevuto il dono di parlare sollevando chi è “SFIDUCIATO”; “prima” perché la Bibbia predilige i fatti ai sentimenti, e il terzo canto del servo apprezza come il discepolo più saggio il servo che si fa solidale. 

Parla poi della parola che (lo chiede al Signore) ascolta aprendo a lei l’orecchio il mattino presto. Questa parola gli annuncia anche una resistenza alle offese e alle botte. 

Is 50,5-6 – IL SIGNORE DIO MI HA APERTO L’ORECCHIO E IO NON HO OPPOSTO RESISTENZA, NON MI SONO TIRATO INDIETRO. HO PRESENTATO IL MIO DORSO AI FLAGELLATORI, LE MIE GUANCE A COLORO CHE MI STRAPPAVANO LA BARBA; NON HO SOTTRATTO LA FACCIA AGLI INSULTI E AGLI SPUTI. 

Avrebbe voluto ascoltare altro, ma Dio gli “HA APERTO L’ORECCHIO” con i dati di una realtà che è quella che è. 

Alcune frasi preparano il “quarto canto”, quello più noto che si ascolta nella Liturgia del venerdì santo (Is 52,13–53,12). Già in questo, il servo capisce di non potersi tirare indietro. 

Le espressioni sul dorso colpito richiamano altre che riguardano la persecuzione del giusto: “Sul mio dorso hanno arato gli aratori, / hanno scavato lunghi solchi” (Salmo 129,3); “Tu facevi del tuo dorso un suolo / e una strada per i passanti” (Is 51,23). 

La frase sulla faccia prepara parole della passione secondo Matteo: “Allora gli sputarono in faccia e lo percossero; altri lo schiaffeggiarono” (Mt 26,67). 

Is 50,7 – IL SIGNORE DIO MI ASSISTE, PER QUESTO NON RESTO SVERGOGNATO, PER QUESTO RENDO LA MIA FACCIA DURA COME PIETRA, SAPENDO DI NON RESTARE CONFUSO.

La forza non è sua perché diffida delle proprie reazioni, ma del Signore: “IL SIGNORE DIO MI ASSISTE”. Lui gli dà di non sperare sollievo, o di passare da aggredito ad aggressore, ma di capire che è l’ora di sopportare e di fare la faccia dura come Ezechiele, il profeta della notte d’Israele: “io ti do una faccia indurita quanto la loro” (Ez 3,8). 

Perseverare richiede di usare la lingua per far del bene piuttosto che per aumentare le lamentele. Ascoltare la Parola ci ricarica più che il resto, soprattutto se, come in questi giorni, le diamo lo spazio migliore, il mattino. 

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Paolo valorizza un inno della liturgia che trova in una comunità e ne fa il motivo chiave di un’esortazione alla pazienza che nella Chiesa ognuno dovrebbe portare verso l’altro. Dice infatti nella frase che “lancia” il nostro testo: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù”. Il testo è la seconda lettura della messa di oggi.

Lettera ai Filippesi di Paolo (cap. 2, versetti 6-11)

Fil 2,6-8 – CRISTO GESÙ, PUR ESSENDO NELLA CONDIZIONE DI DIO, NON RITENNE UN PRIVILEGIO L’ESSERE COME DIO, MA SVUOTÒ SE STESSO ASSUMENDO UNA CONDIZIONE DI SERVO, DIVENTANDO SIMILE AGLI UOMINI. DALL’ASPETTO RICONOSCIUTO COME UOMO, UMILIÒ SE STESSO FACENDOSI OBBEDIENTE FINO ALLA MORTE E A UNA MORTE DI CROCE. 

La prima frase poggia sul motivo dell’abbassamento divino e della sua corrispondente esaltazione, che l’Antico Testamento accenna soltanto. La “condizione” è letteralmente la “forma” che Dio ha e alla quale Cristo rinuncia per raggiungere le persone, per divenire, dice “simile agli uomini”. 

Non era per lui motivo di “privilegio” perché viveva una tale forza e una tale serenità da volere che mille altri potessero partecipare di quella forma. 

“Dall’aspetto riconosciuto come uomo” ricorda che Gesù ha abbracciato la “forma” degli uomini. Tale scelta di sottomissione andò, dice l’inno, fino alla morte e, sembra che sia Paolo ad aggiungerlo, “fino alla morte di croce”. 

Sceglie di morire perché vede che questo l’associa a coloro che ama, le persone umane, e non fa conto di quel che perde perché tiene presente l’amore da cui viene e quello che contribuisce a creare. Come dire: “Basta paure, uomini, basta paura di morire! Non vi ho preceduto io per liberarvi dalla morte?!” 

Fil 2,9-11 – PER QUESTO DIO LO ESALTÒ E GLI DONÒ IL NOME CHE È AL DI SOPRA DI OGNI NOME, PERCHÉ NEL NOME DI GESÙ OGNI GINOCCHIO SI PIEGHI NEI CIELI, SULLA TERRA E SOTTO TERRA, E OGNI LINGUA PROCLAMI: «GESÙ CRISTO È SIGNORE!», A GLORIA DI DIO PADRE.

Gesù non perdette, anzi, acquisì più di quel a cui aveva deliberatamente rinunciato, perché viveva da sempre nell’amore del Padre e, con la Pasqua, ha potuto sperimentare che le persone umane, alle quali teneva, potevano con lui amare e liberare altri dalle catene dell’odio e dei sensi di colpa. 

I ginocchi si piegheranno non perché vuol farsi adorare ma perché ama così, così da aver la convinzione che redimerà tutti. 

Quali sentimenti l’inno rivela di Cristo? Quelli di colui che crede nella responsabilità di ognuno e spera che l’amore modifichi il quadro delle paure, umanamente comprensibili. A gloria di Dio, il Padre da cui tutto riceve. 

Orari della Settimana Santa

Tutte le celebrazioni in diretta streaming sulla pagina Facebook ed il canale YouTube:

Domenica delle Palme:
ore 9:00 Santa Messa in Ospedale
ore 11:00 Santa Messa dalla Chiesa di Santa Croce con a seguire la benedizione alla città con il santissimo Sacramento sul sagrato della Chiesa.
ore 18:00 recita dei Secondi vespri

Giovedì Santo:
ore 21:00 Missa in Coena Domini ed a seguire Adorazione prolungata

Venerdì Santo:
ore 15:00 Azione liturgica della Passione
ore 17:00 Via Crucis dalla cappella dell’Ospedale
ore 21:00 Via Crucis dal parco del Convento

Sabato Santo:
ore 12:00 Consacrazione della Città al Cuore Immacolato di Maria dalla Grotta di Lourdes
ore 21:00 Veglia pasquale di Resurrezione

Domenica di Pasqua:
ore 9:00 Santa Messa dalla cappella dell’Ospedale
ore 10:00 Santa Messa da San Bartolomeo
ore 11:30 Santa Messa da Monteobizzo
ore 18:00 Santa Messa da Santa Croce

Dare una mano per darsi una mano

Di seguito trovate, oltre alle raccolte alimentari che già si stanno facendo con la collaborazione di tanti, gli Iban di riferimento con cui poter fare la vostra piccola o grande donazione:

Intestato a Parrocchia san Bartolomeo Caritas: IT57Z 05387 66920 000002421136 BPER Pavullo

Intestato a Parrocchia san Bartolomeo: IT60V05034 66920 000000002515 BPM Pavullo

Intestato a Parrocchia Monteobizzo – Santi Vincenzo ed Anastasio IT91R 05387 66920 000001664706 BPER Pavullo