Month: Maggio 2020
Commento alle letture della solennità di Pentecoste

Dagli Atti degli apostoli (At 2,1-11)
Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.
Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotàmia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».
Commento
Luca descrive anzitutto l’apparire di “lingue come di fuoco” e il dono che i discepoli ricevono di “parlare in altre lingue”, cioè di far conoscere le opere di Dio nelle lingue dei presenti. Lo fa anche usando delle parole che evocano degli antefatti biblici: il fuoco che al Sinai accompagna la rivelazione sul monte a Mosé e la brace che ha purificato le labbra del profeta Ezechiele.
Il dono di parlare in altre lingue venne, dice ancora, dal “lo Spirito” e lo stesso Spirito “dava loro il potere d’esprimersi”. Gesù aveva su di sé lo “Spirito del Signore”, che l’aveva “mandato ad annunciare” ai poveri l’anno di grazia (Lc 4,18).
Quello che faceva uno solo, Mosè, dando voce ai comandamenti di Dio; quello che faceva un solo profeta, Ezechiele, recando la Parola a persone chiuse nel dolore; quello che faceva Gesù a favore dei poveri; questo poterono annunciare coloro che erano radunati il giorno di Pentecoste.
Ognuno riceve ancora, da quel battesimo della Chiesa, il potere di annunciare e di farsi capire da chi crede, da chi simpatizza e da chi non crede.
Dalla Prima lettera ai Corinzi di Paolo (1Cor 12,3b-7.12-13)
Fratelli, nessuno può dire: «Gesù è Signore!», se non sotto l’azione dello Spirito Santo. Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune.
Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito.
Commento
Nella prima parte Paolo enuncia l’unità della distribuzione di carismi da parte dello Spirito, di ministeri da parte del Signore (Gesù) e di attività da parte di Dio (Padre). Lo Spirito rende partecipi per primo i credenti di quanto offrono il Figlio tramite i ministeri e il Padre con le attività che genera nel mondo.
I carismi dello Spirito infatti vengono distribuiti a tutti e permettono la partecipazione dei fedeli a ciò che i ministeri fanno con la loro autorità; inoltre danno la forza di compiere a loro volta qualcuna delle opere di Dio.
Nella seconda parte Paolo dice che il corpo di Cristo si esprime in molte membra, evitando che un ministro ne sia l’unico attuatore. Aggiunge di nuovo che riguarda tutti il battesimo nello Spirito e nel corpo e, pensando agli israeliti nel deserto, che tutti “siamo stati dissetati” (alla roccia) “da un solo Spirito”.
Gli israeliti vennero dissetati come tipo dei credenti, al tempo di Paolo provenienti sia dai Giudei sia dai Greci, sia dai liberi sia dagli schiavi. Lo Spirito non è quindi solo il soffio che dà vita al nuovo Adamo (tramite la risurrezione di Cristo) ma anche l’acqua di cui è composto il suo corpo.
Il corpo mistico di Cristo, la sua Chiesa, si va formando con coloro che si lasciano unire e dissetare dallo Spirito Santo: riceviamo lo Spirito e accettiamo che Cristo ci inserisca nel suo corpo mistico.
Alleluia, alleluia.
Vieni, Santo Spirito,
riempi i cuori dei tuoi fedeli
e accendi in essi il fuoco del tuo amore.
Dal Vangelo secondo Giovanni (20,19-23)
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Commento
Il “primo” giorno “della settimana”, in cui Gesù apparve agli Undici, corrisponde a quello in cui “Dio disse: ‘Sia la luce!’. E la luce fu. […] E fu sera e fu mattina: giorno primo” (Gen 1,3.5). La luce della nuova creazione è lui e, derivatamente, anche i discepoli.
Dice san Giovanni che Gesù «soffiò» su loro. A soffiare per primo fu Dio, quando creò con la terra del suolo Adamo e soffiò nelle sue narici un alito di vita. Chi riceve lo Spirito del Risorto risusciterà come lui e potrà operare cose più grandi di quelle che ha fatto Gesù. Creta e Spirito è il discepolo, un tesoro in vasi di creta diceva Paolo.
Come si fa a diminuire le fragilità e aumentare la maturità del cristiano che lo Spirito alimenta in noi? Ricevendo lo Spirito Santo. Non basta infatti che Gesù l’abbia effuso, mentre moriva in croce (“rese lo Spirito” dice l’evangelista). Non basta che lo Spirito scenda, bisogna che lo riceviamo, che gli lasciamo preparare la casa dove vogliono abitare il Padre e il Figlio.
Lo Spirito Santo rende tutti i credenti profeti. Lo diceva con gioia san Francesco che voleva il nuovo Ordine “aperto allo stesso modo ai poveri e agli illetterati, e non soltanto ai ricchi e ai sapienti. «Presso Dio – diceva – non vi è preferenza di persone, e lo Spirito Santo, ministro generale dell’Ordine, si posa egualmente sul povero e il semplice»” (Tommaso da Celano, Vita seconda, 193: FF 789).
Invocava così che a guidare l’Ordine fosse più lo Spirito di lui e sperava che ogni frate facesse la sua parte senza bisogno di direttive. Il nostro desiderio è simile, in questa solennità: che ognuno segua le segnalazioni dello Spirito fino in fondo e si metta a fare tutto quello che gli suggerisce con le forze che riceve.
Commento alle letture della solennità dell’Ascensione

Dagli Atti degli apostoli (At 1,1-11)
Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo. Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo».
Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra». Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».
Commento
Gesù ha continuato a parlare del regno di Dio dopo la sua risurrezione, e l’autore degli Atti lo racconta facendo filtrare che la predicazione non si è fermata neppure con lui, specie intorno alla “tavola” alla quale si riunivano gli apostoli e nel portico di Salomone del tempio. Il primo messaggio di questa pagina sembra questo ed è invitante.
Lo stacco da terra per il suo esodo al Padre è l’altro nucleo di questa pagina e le Chiese lo considerano con attenzione, ascoltandolo nella domenica dell’Ascensione. Avviene che egli ha appena smesso di parlare della forza che, da lì in poi, avranno dallo Spirito Santo (“detto questo”) e “fu elevato in alto”. Il passivo dice che non va da sé ma è il Padre che lo “tira su”.
L’ascensione al Padre è il compimento della vita umana di Gesù, tanto desiderato da lui che è difficile immaginarlo. Gesù l’annunciò almeno tre volte, in ognuno degli annunci della sua Pasqua, e l’attesa si fece più decisa quando indurì il suo volto orientando se stesso e i discepoli verso Gerusalemme.
Tale attesa – d’altra parte – non era un’ossessione o qualcosa di febbrile, come avviene negli entusiasti, perché, anzi, si connette con l’amore fraterno e la responsabilità nella storia di tutti. Si preoccupa di Israele (i discepoli colgono bene, anche se un po’ distorcono) e del proseguimento della testimonianza anche fuori dei suoi confini. Se ne occuperà ancora, fino a quando “verrà”.
Alleluia, alleluia, alleluia.
Popoli tutti, battete le mani!
Acclamate Dio con grida di gioia,
perché terribile è il Signore, l’Altissimo,
grande re su tutta la terra. R.
Ascende Dio tra le acclamazioni,
il Signore al suono di tromba.
Cantate inni a Dio, cantate inni,
cantate inni al nostro re, cantate inni. R.
Perché Dio è re di tutta la terra,
cantate inni con arte.
Dio regna sulle genti,
Dio siede sul suo trono santo. R.
Dalla Lettera agli Efesini (Ef 1,17-23)
Fratelli, il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi, che crediamo, secondo l’efficacia della sua forza e del suo vigore.
Egli la manifestò in Cristo,
quando lo risuscitò dai morti
e lo fece sedere alla sua destra nei cieli,
al di sopra di ogni Principato e Potenza,
al di sopra di ogni Forza e Dominazione
e di ogni nome che viene nominato
non solo nel tempo presente ma anche in quello futuro.
Tutto infatti egli ha messo sotto i suoi piedi
e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose:
essa è il corpo di lui,
la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose.
Commento
La seconda lettura ha due parti, una discorsiva, l’altra innica, ma ambedue di preghiera. L’autore chiede che Dio Padre riversi lo Spirito di sapienza sui destinatari dello scritto, perchè ricevano da lui la conoscenza, una relazione che li familiarizzi con lui tramite l’assiduità. La conoscenza è intellettuale e, di più, riguarda tutta la vita, come il comandamento di amare con tutto se stessi.
Gli occhi illuminati da tale familiarità faranno comprendere la grandezza della speranza che li chiama. Essa è una grazia che verrà domani e una che viene oggi: il futuro accesso alla pienezza della gloria, la presente dispensazione di potenza nei prodigi, che fanno sperimentare ai credenti saldezza e forza di testimonianza. La vita soprannaturale fa dimenticare i mali che si sopportano nell’attesa e godere di una consolazione che dà un colore più mite all’attesa stessa.
L’inno celebra la “potenza verso di voi credenti” affermando in chi essa si manifestò, generando la conoscenza soprannaturale che ha invocato su di loro. Fu la risurrezione a portare il Cristo sopra ogni potenza dell’universo, anche sugli angeli decaduti che avvelenano l’atmosfera con le loro lotte a Dio e tengono sotto la schifezza delle loro accuse e seduzioni le persone buone.
“Tutto infatti” il Padre ha sottomesso a Gesù risorto che, per la Chiesa, è il capo, il generatore di vita e la speranza di compimento. Cioè dice che tale potenza di salvezza e novità di vita è già stata data nella Pasqua di Cristo e che ora si tratta solo di riceverne il frutto, di accettare che porti frutto in loro e di operare perché tutte le cose vengano coronate di bellezza.
Nella novena di Pentecoste è bene aggiungere che ciò avviene e avverrà nello Spirito del Signore. Egli prepara la materia e, soprattutto, le persone, alla comunione. Così il disegno del Padre procede nella storia e attende la cooperazione dei disegni umani, consolidando un processo di trasformazione che ha sempre nuove espressioni mentre sopporta gli inevitabili scacchi.
Alleluia, alleluia.
Andate e fate discepoli tutti i popoli, dice il Signore.
Ecco, io sono con voi tutti i giorni,
fino alla fine del mondo. (Mt 28,19a.20b)
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 28,16-20)
In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Commento
Cosa salta all’occhio in questo vangelo? Che alcuni si prostrino e altri dubitino, è comune a tanti racconti della Pasqua; non così il comando di andare e fare discepoli i popoli (che pretesa!), il battesimo nel nome della Trinità, l’insegnamento di tutto quello che ha comandato e, finalmente, la promessa di essere sempre con loro.
Questa promessa ha delle parole che l’evangelista ha già usato in uno dei primi racconti. Ricordate? L’angelo dice a Giuseppe che il bambino concepito da Maria sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi (Mt 1,23). In tutto il Primo vangelo Gesù sta con i suoi discepoli ma non tanto da manifestare che è Dio con loro. Il nome Emmanuele quando diventa realtà?
La Pasqua avvia una nuova forma di compagnia di Gesù, dotata del potere che egli ha di sottomettere la morte, e dunque quell’accompagnamento che libera dal male e dall’angoscia. Poiché è risorto può stare con loro nello Spirito Santo tutti i giorni della storia. Hanno sofferto la separazione e non sono più uniti, come prima, in base al bisogno ma per scelta, purificati da lui.
La novità più forte è quell'”Andate” e “fate discepoli tutti i popoli”, che è un po’ tanto, pensando a come lui volle rivolgersi solo agli israeliti e a come gli undici erano ripiegati e dubbiosi. Ha dei limiti perché significa accettare l’imbarazzo dell’incontro con un altro invece che confidare nei legami acquisiti, testimoniare invece che fare proselitismo, diffondere la Parola invece che perdersi nel comunicare.
Questa novità dipende da quel potere che la festa dell’Ascensione celebra, il “potere” che Gesù non si procura ma che ricevette quando meno se l’aspettava: “«A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra»”. Fa eco a questa frase la domanda del “Padre nostro” che la santificazione del nome, la venuta del Regno, e la poiesi della volontà del Padre sia fatta “come in cielo così in terra”.
Significa che chiediamo aiuto per poter rispondere a Dio come il Figlio risponde al Padre. Il Cielo non è la stratosfera ma la comunione e la libertà delle persone divine. Vivere come il Figlio la relazione con Dio nello Spirito è conformarsi, dare attenzione, farsi prossimo perché altri possano sperare, credere e amare anche attraverso degli arnesi come noi.
Commento alle letture VI domenica di Pasqua

Dagli Atti degli apostoli (At 8,5-8.14-17)
In quei giorni, Filippo, sceso in una città della Samarìa, predicava loro il Cristo. E le folle, unanimi, prestavano attenzione alle parole di Filippo, sentendolo parlare e vedendo i segni che egli compiva. Infatti da molti indemoniati uscivano spiriti impuri, emettendo alte grida, e molti paralitici e storpi furono guariti. E vi fu grande gioia in quella città.
Frattanto gli apostoli, a Gerusalemme, seppero che la Samarìa aveva accolto la parola di Dio e inviarono a loro Pietro e Giovanni. Essi scesero e pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo; non era infatti ancora disceso sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù. Allora imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo.
Commento
I Sette, dispersi dalla persecuzione che ha già ucciso Stefano, vanno verso nord e verso i pagani. Avevano addosso il dolore per il fratello, avvertivano la minaccia e si aspettavano l’ostilità ma quella gente accoglie la Parola. Nella sofferenza, si attua la profezia di Gesù: “«di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra»” (At 1,8).
Filippo, uno dei Sette, evangelizza il Cristo, cioè la persona e la Pasqua di Cristo: il servo (da Isaia 52—53) la cui sofferenza è l’occasione della salvezza di tutti. A corroborare la parola giungono segni di potenza, specie esorcismi e guarigioni di malanni della schiena e degli arti. E’ un fatto e, insieme, un simbolo: le persone si rialzano, ritte in piedi (At 14,10), e gridano per l’esperienza della libertà.
Arrivano allora gli apostoli Pietro e Giovanni che, a Gerusalemme, avevano appreso le novità, e ora vengono in Samaria. Pregano che scenda lo Spirito su «loro», i Samaritani. Si compie così la parola di Pentecoste: “«Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo»” (At 2,38).
Erano stati battezzati, dice il testo, sembra da Filippo stesso, nel nome del Signore Gesù; manca il nome della Trinità e i due apostoli pregano e impongono loro le mani, e quelli ricevono lo Spirito. Questo manifesta la continuità dell’opera di Dio nella Chiesa che, nella persona degli apostoli, manifesta il suo dono, che edifica tutti.
Dal Sal 65 (66)
R. Acclamate Dio, voi tutti della terra.
Acclamate Dio, voi tutti della terra,
cantate la gloria del suo nome,
dategli gloria con la lode. Rit.
Dite a Dio: «Terribili sono le tue opere!
A te si prostri tutta la terra,
a te canti inni, canti al tuo nome». Rit.
Venite e vedete le opere di Dio,
terribile nel suo agire sugli uomini.
Egli cambiò il mare in terraferma; passarono a piedi il fiume:
per questo in lui esultiamo di gioia.
Con la sua forza domina in eterno. Rit.
Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio,
e narrerò quanto per me ha fatto.
Sia benedetto Dio,
che non ha respinto la mia preghiera,
non mi ha negato la sua misericordia. Rit.
Dalla Prima lettera di Pietro (1Pt 3,15-18)
Carissimi, adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo. Se questa infatti è la volontà di Dio, è meglio soffrire operando il bene che facendo il male, perché anche Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito.
Commento
La lettera ai cristiani che devono emigrare per minacce pubbliche ritorna sull’atteggiamento da tenere: non quello reattivo rispetto alle questioni che si vedono ma quello fedele al mandato divino di dare testimonianza. Sullo sfondo un passo di Isaia: “Non abbiate paura. / Il Signore degli eserciti, lui solo ritenete santo. / Egli sia l’oggetto del vostro timore” (Is 8,12s).
Più da vicino l’autore ricorda la beatitudine e gli insegnamenti di Gesù ai testimoni: “Beati i perseguitati per la giustizia, / perché di essi è il regno dei cieli” (Mt 5,10); “Non preoccupatevi di come o di che cosa discolparvi, o di che cosa dire, perché lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire” (Lc 12,11s).
Adorare Cristo nei cuori forse suppone che non vi siano altri luoghi dove poterlo fare. Se qualcuno chiede ragione della speranza che è in noi può significare che si vive la prova con speranza e che essa persuade i pagani che non hanno la speranza di abbracciare Cristo dopo la morte (1Ts 4,13).
La testimonianza è altro dallo spirito di rivalità o conquista e distingue l’esule cristiano da quello etnico o politico. Dolcezza e retta coscienza vuol dire non fare elogi a sé o alla propria causa ma sperare che Cristo si riveli anche a loro. Il problema dei cristiani sulla scena pagana è vivere senza peccati, in modo da creare persuasione.
Si torna così al motivo ricorrente della lettera: la pazienza a motivo dell’atteggiamento di Gesù davanti alla sua morte: “perché anche Cristo è morto una volta per sempre per i peccati”. La frase, di un inno liturgico, ricorda la resilienza e la vittoria di Cristo e motiva i credenti a perseverare, contenti di poter avvicinarsi a lui.
Alleluia, alleluia.
Se uno mi ama, osserverà la mia parola, dice il Signore,
e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui. (Gv 14,23)
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 14,15-21)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi.
Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».
Commento
La lettura quasi continua del Vangelo secondo Giovanni dà alla messa di questa VI domenica di Pasqua di fermarsi davanti al Cristo che ha lavato i piedi, ha chiesto di accettare che morirà e, a Tommaso e a Filippo, ha chiesto di amare anche se non sanno farlo come lui. L’amore di Dio è a disposizione nel concreto, infatti, non in un altrove divino generico.
Lo Spirito dà di comprendere, perché del Padre e del Figlio. Il secondo Paraclito (significa difensore e il primo era Gesù) insegnerà ogni cosa, cioè il senso che ora sfugge, perchè, come Pietro alla lavanda dei piedi, si capisce dopo. Sarebbero orfani se Gesù morisse e basta, ma manda lo Spirito a proseguire la sua assistenza nel processo che il mondo intenta a Cristo e ai suoi.
Si può e deve amare la persona che Dio ci ha dato come Figlio e Salvatore, amare Gesù. Amarlo uscendo dalla presunzione di dominare gli eventi e dalla paura di non riuscire a farlo: ricevere da lui l’amore del Padre e amare Gesù. Aver bisogno del suo perdono per amare ci fa vergognare un po’ ma egli ama tanto che non possiamo fare che questo: ricevere l’amore.
Chiarisce che questo comporta osservare i suoi comandamenti, con il fine dunque di fare con lui quello che facciamo: non per far bene quel che ci preme o perché così si va più d’accordo: farlo con il fine di alimentare la relazione. Vivere la comunione perchè migliora la nostra amicizia con lui, la nostra di singoli e di comunità.
Affidamento della Diocesi alla Madonna di Fiorano da parte di Mons. Arcivescovo

Mercoledì 13 maggio alle ore 20.30 nella Basilica Minore della Beata Vergine del Castello di Fiorano, l’Arcivescovo Erio Castellucci presiederà la S. Messa che si concluderà con l’Atto di affidamento a Maria in diretta su TvQui (canale 19 del digitale terrestre e in diretta streaming su www.tvqui.it).
Quella sera ci collegheremo assieme per assistere a questo evento di grazia
Commento alle letture della V Domenica di Pasqua

DOMENICA 10 MAGGIO 2020 – V DI PASQUA
Più volte avvertiamo i segni di un cambiamento in atto e ci chiediamo cosa debba fare la Chiesa, con riforme adeguate e con il mantenimento di ciò che più vale, e cosa possiamo fare noi, che sperimentiamo incertezza e fatica. Il problema è presente nelle letture di questa Quinta domenica di Pasqua: ascoltiamo, uniti nell’impegno e nella gioia!
Dagli Atti degli apostoli (At 6,1-7)
In quei giorni, aumentando il numero dei discepoli, quelli di lingua greca mormorarono contro quelli di lingua ebraica perché, nell’assistenza quotidiana, venivano trascurate le loro vedove. Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: «Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense. Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola».
Piacque questa proposta a tutto il gruppo e scelsero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone, Parmenàs e Nicola, un prosèlito di Antiòchia. Li presentarono agli apostoli e, dopo aver pregato, imposero loro le mani. E la parola di Dio si diffondeva e il numero dei discepoli a Gerusalemme si moltiplicava grandemente; anche una grande moltitudine di sacerdoti aderiva alla fede.
Commento
Nel racconto degli Atti degli apostoli avviene qualcosa di nuovo, l’aumento del numero dei discepoli, e nascono dei problemi di servizio nella distribuzione del cibo per i poveri, fra cui le vedove. Avveniva che alcune fra le vedove destinatarie diventavano collaboratrici.
Gli ellenisti discutono perché non si permetteva loro di distribuire. Nel giudaismo di Gerusalemme, non nelle sinagoghe della diaspora, infatti, a motivo della purità, le donne non potevano servire alle mense. La discussione dunque coinvolge la dottrina.
La cosa viene portata davanti ai Dodici i quali si tirano fuori chiedendo di nominare sette capi idonei a supervisionare la distribuzione. La tradizione ricorda i nomi dei Sette che gli ellenisti portano davanti agli apostoli.
I Dodici delegano loro la supervisione della diaconia delle mense dandole il carattere di una struttura della Chiesa che concorre come poco altro alla sua crescita. La preghiera e l’imposizione delle mani rappresentano l’azione dello Spirito del Signore risorto che convalida.
La decisioni non è di organizzazione ma di orientamento rispetto ai dogmi della purità e dell’appartenenza alla comunità giudaica. La comunità, grazie alla libertà del vangelo e alla carità di sorelle e fratelli, diventa una compagine dotata di autonomia e consistenza.
La nota finale sui sacerdoti che aderiscono vuol dire che diversi custodi della tradizione approvarono la scelta e che ebbe successo la versatilità dimostrata dai Dodici rispetto all’insorgere di nuove sfide. Questo suggerisce ai lettori di essere partecipi delle riforme che il Signore desidera.
Dal Salmo 32 (33)
R. Il tuo amore, Signore, sia su di noi: in te speriamo.
Esultate, o giusti, nel Signore;
per gli uomini retti è bella la lode.
Lodate il Signore con la cetra,
con l’arpa a dieci corde a lui cantate. Rit.
Perché retta è la parola del Signore
e fedele ogni sua opera.
Egli ama la giustizia e il diritto;
dell’amore del Signore è piena la terra. Rit.
Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme,
su chi spera nel suo amore,
per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame. Rit.
Dalla Prima lettera di Pietro (1Pt 2,4-9)
Carissimi, avvicinandovi al Signore, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo. Si legge infatti nella Scrittura: «Ecco, io pongo in Sion una pietra d’angolo, scelta, preziosa, e chi crede in essa non resterà deluso».
Onore dunque a voi che credete; ma per quelli che non credono la pietra che i costruttori hanno scartato è diventata pietra d’angolo e sasso d’inciampo, pietra di scandalo. Essi v’inciampano perché non obbediscono alla Parola. A questo erano destinati. Voi invece siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa.
Commento
Quale luogo di riparo, quale casa, quale tempio hanno i credenti in Gesù, nella migrazione dalle loro case a quelle del pellegrinaggio? L’autore dice che loro stessi diventano il tetto gli uni degli altri se si uniscono a Cristo, a sua volta rifiutato dagli uomini ma prezioso davanti a Dio.
La pietra su cui si fondano è viva perché Gesù è risorto e ciò ha due aspetti: la grazia di stare con lui, e la scelta fra l’amore di chi è scartato o il rimpianto che fa morire. La stima della sorella e del fratello che hanno accanto è essere pietre vive.
Se rifiutano l’altro, rifiutano il Cristo come quelli che si scandalizzano per la sua Croce. Se amano Cristo come Dio l’ha amato, divengono pietre vive, cioè, in concreto, riferimenti per altri. Questa comunità sta davanti a Dio e porta davanti a lui il creato e l’umanità, e ciò avviene per dono del Padre.
Egli la fa erede della comunità del Sinai (Esodo 19), e del popolo che si radunava dopo l’esilio, al quale così prometteva:
“tu sei prezioso ai miei occhi,
perché sei degno di stima e io ti amo […].
Il popolo che io ho plasmato per me
celebrerà le mie lodi” (Isaia 43,4.21).
Alleluia, alleluia.
Io sono la via, la verità, la vita, dice il Signore;
nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. (Gv 14,6)
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 14,1-12)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: Vado a prepararvi un posto? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via».
Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».
Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre».
Commento
Il vangelo di oggi ha tre parti: Gesù parla ai discepoli; dialoga con Tommaso; dialoga con Filippo. Nella prima, parla già del suo abitare nel Padre dove si premura di accogliere i discepoli. Non hanno metabolizzato la morte che lui parla della risurrezione e ascensione (“«vado»”), delle apparizioni pasquali (“«ritornerò»”) e della comunione in Dio (“«dove io sono, siate anche voi»”).
Perché questa differenza fra ciò che percepiamo dal basso e quello che lui vede? Perché una volta che Gesù fu in Dio, tutto divenne semplice e attuato: “«È compiuto»” (Gv 19,30). L’eterno per noi è lunghissimo ma, per chi lo abita, è ora qui. Lo scambio con Tommaso dice il dialogo fra i due approcci, ambedue necessari.
La domanda di Tommaso mette al centro che non sanno dove vada. La domanda sul luogo riflette il morire di Gesù ma si apre sul come amare da discepoli… Quale via?
La risposta “«Io sono la via, la verità e la vita»” dice che l’amore ce lo mette Gesù, ricevendolo dal Padre che, chiamandoci a lui, ci chiama a sé.
La vita eterna è vivere la relazione con Cristo, se stessi, il creato e gli altri, come relazione donata dallo Spirito del Padre.
Nella terza parte, Gesù invita i discepoli ad andare con lui al Padre, e Filippo gli chiede di poter vedere Dio. Gesù dice a Filippo se crede che luiè nel Padre, oggi, accanto a loro e, viceversa, se crede che il Padre si mostra in quelle relazioni. Crede questo?
Gesù, allora, si commuove: “«Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse»”. Vuol dire: “se non credete alle relazioni di amicizia che abbiamo, credete almeno per i prodigi-segni che ho compiuto”.
E spariglia le aspettative di lieto fine parlando dei credenti che verranno dopo la Pasqua: quelli che crederanno senza vedere (Gv 20,29) faranno “«opere»” (prodigi-segni) ancora più grandi, grazie al fatto che lui va al Padre.
Preghiere
1. Ringraziamo per la comunione del Risorto accanto al Padre, di cui godono nello Spirito Maria assunta, gli apostoli, i gloriosi martiri e tutti i santi e le sante. Preghiamo.
2. Preghiamo per coloro che credono in Gesù presente nella Chiesa, perché accettino le fatiche della fede e le superino per la sua amicizia. Preghiamo
3. Chiediamo perdono per come ci lamentiamo per quello che manca, e preghiamo perché il Signore ci renda testimoni verso i credenti che vuole associare a sé. Preghiamo
4. Chiediamo perdono per come teniamo poco vive le relazioni con lui e fra noi, e preghiamo perché alimentiamo intorno a questa comunità della Chiesa la fraternità. Preghiamo
5. Preghiamo per chi non ha casa e vive fra stranieri, perché lo Spirito Santo trasformi ogni casa nella sua dimora e ogni altro in una sorella o in un fratello. Preghiamo.
Commento alle letture della IV Domenica di Pasqua
DOMENICA 3 MAGGIO – IV DI PASQUA ANNO A
Dagli Atti degli apostoli (2,14.36-41)
[Nel giorno di Pentecoste,] Pietro con gli Undici si alzò in piedi e a voce alta parlò così: «Sappia con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso». All’udire queste cose si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?». E Pietro disse loro: «Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo. Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro». Con molte altre parole rendeva testimonianza e li esortava: «Salvatevi da questa generazione perversa!». Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno furono aggiunte circa tremila persone.
Meditazione
Nel primo discorso ai Giudei, Pietro conclude l’anamnesi della Scrittura chiedendo alla casa d’Israele di riconoscere con certezza che Dio ha costituito Signore e Cristo il crocifisso risorto. La percezione della fine di Cristo da ignominia si trasformò in avvenimento di salvezza.
Questo, dice la nostra pagina, trafisse il cuore degli ascoltatori del discorso. La lettura immediata fa pensare al senso di colpa ma c’è di più l’aspetto di consolazione della Croce. Essa esorbita il peccato, come Dio è più grande del nostro cuore (1Gv 3,20).
Quel «Convertitevi» non è allora solo pentirsi (il dispiacere o senso di colpa) ma cambiar vita e apprendere da lui a farlo con tre elementi: il perdono dei peccati, il battesimo nel nome di Cristo e il ricevere lo Spirito Santo.
Bisogna vivere in relazione con lui le consuetudini della vita nuova e ciò va oltre la legge, va al giuramento di Dio ad Abramo. Dice l’apostolo ai Giudei: «per voi è la promessa e per i vostri figli», cioè per la discendenza oggetto della prima benedizione.
Non solo, c’è un altro di più: «e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro», cioè per coloro che in ogni popolo invocano il nome del Signore, pur invocando il nome che conoscono dalla propria tradizione.
Dalla Prima lettera di Pietro (1Pt 2,20b-25)
Carissimi, se, facendo il bene, sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio. A questo infatti siete stati chiamati, perché anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme: egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca; insultato, non rispondeva con insulti, maltrattato, non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia. Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti. Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime.
Meditazione
L’esortazione rivolta a schiavi cristiani abbonda di consigli a non prendere troppo seriamente ciò che devono soffrire e a non esacerbarsi per le ingiustizie: esse vanno considerate inevitabili per condizione più che per volontà di un padrone.
Ciò che li deve motivare non è però la sottomissione prevista per legge ma l’esempio di Cristo, il vero Servo sofferente di Isaia. La scelta di Cristo di non reagire alle violenze ma di pazientare, affidando l’attesa di giustizia interamente a Dio, motiva gli schiavi: possono e devono sì attendere giustizia ma affidando il modo e il momento a Dio.
Si contempla, infine, la salvezza riuscita: «Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime». Il passivo è divino: è il Padre che riconduce al Cristo i suoi figli, lui che è il pastore che può guidare il suo gregge ai pascoli della gioia, e che è il supervisore che tutela e accompagna.
La Prima lettera di Pietro stimola a elaborare i lutti, a vivere le malattie e i pericoli, a dominare le pulsioni (rabbie, depressioni) che schiavizzano. Grazie alla Parola, tale pazienza-perseveranza si rivela non tanto il risultato di uno sforzo dell’io, pur necessario, quanto piuttosto il frutto della relazione con Cristo, che aiuta a regolare le proprie inquietudini e a riscattare i propri limiti.
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 10,1-10)
In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».
Meditazione
Le due parti della pagina di questa domenica propongono, un po’ connesse l’una all’altra, due parabole di Gesù: quella del pastore e quella della porta. L’ambiente, fisico e simbolico, è il portico di Salomone del tempio, fatto a recinto, nel quale Gesù cammina con i suoi. Indica gli avversari che occupano lo spazio e li ritrae come pastori che si accaparrano le pecore di Dio.
La porta dovrebbe offrire accesso alla salvezza alle pecore ma la falsità di estranei e ladri di fiducia ne impediscono la gioia. Invece di costoro, il Signore autentica come guide della comunità coloro che lo amano. Essi possono guidare il gregge stando fedeli allo stile trasmesso da Gesù; in questo modo, aiuteranno i credenti a stare con Cristo e a diffonderne la salvezza.
L’ultima parola di questa pagina è di quelle che si ricordano: «Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza». Il legame fra Cristo e la vita dice che non c’è lui senza lei e la vita eterna senza lui. Possiamo vivere se siamo in relazione con lui che in tutto si riceve dalla relazione offertagli dal Padre.
La vita eterna in Giovanni è infatti qualcosa di diverso dalla vita dopo la morte, il concetto della tradizione precedente e che la maggioranza anche oggi crede. La morte naturale interessa il giusto l’evangelista, perché tiene la sua attenzione per la morte come assenza: assenza di Dio, di sé, del creato e dell’altro.
La vita naturale non lo appassiona mentre è un portavoce della vita derivante dalla relazione, della vita che si gusta amando. La vita eterna è la «relazione con Dio nel cuore di questa vita mortale» (Jean Zumstein). La morte naturale, la si può affrontare in relazione con Cristo.
Il giudizio di Dio, non lo si teme come futuro e ignoto: lo si accoglie volentieri come noto, di salvezza e già ricevuto nella Pasqua di Cristo. Se condividiamo l’amore di Cristo, riceviamo e allarghiamo ad altri la vita e la vita «in abbondanza».
Ciò è un dono offerto a tutti i credenti, a favore di mondo e umanità. Ad aiutare i credenti, il Signore chiama i pastori che rappresentano Cristo, per il dono dell’ordine, le sorelle e i fratelli che lo amano con speciale consacrazione. Per questo la preghiera, in questa giornata delle vocazioni, è soprattutto per le vocazioni di servizio, missione e consacrazione religiosa.
Preghiere
1. Affidiamo il creato a colui che nel suo Figlio e nello Spirito l’ha voluto e lo sostiene, e preghiamo perché l’umanità cooperi con il lavoro a liberarlo dalle sue follie. Preghiamo.
2. Ringraziamo per i ministri, i missionari e i consacrati, e preghiamo perché gli Stati agevolino la loro vocazione di servire la fede e la generosità di ogni credente. Preghiamo.
3. Chiediamo perdono per la sfiducia e il terrore che hanno percorso il mondo, e preghiamo perché tutti aderiscano al pastore e custode delle nostre anime. Preghiamo.
4. Ricordiamo i perseguitati per la giustizia e per la fede, e preghiamo perché sia data a ognuno la possibilità di contribuire alla pace e al progresso dei popoli. Preghiamo.
5. Chiediamo di comprendere la nostra vocazione come le pecore conoscono la voce del Pastore, e preghiamo perché camminiamo fedeli verso la vita eterna. Preghiamo.